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Archeologia e misteri

Archeologia e misteri

Dagli scavi di Ripa Medici riemerge la storia di Orvieto e dei suoi guerrieri

Archeologia e misteri: dagli scavi di Ripa Medici riemerge la storia di Orvieto e dei suoi guerrieri

La misteriosa storia degli Etruschi si lega con la storia della città e dei suoi guerrieri. Lo scrigno della Rupe conserva e regala suggestioni che riportano indietro nel tempo, che evocano la straordinaria sapienza etrusca madre di interrogativi che spiazzano l’archeologia moderna.

Tutto questo è racchiuso nelle grotte e nelle cavità di Ripa Medici, cuore del progetto Orvieto Ipogea, che dal 2011 sta impegnando Speleotecnica, Fondazione Faina, il Saint Anselm College (Usa) e il Paao. Proprio il direttore del Paao, Claudio Bizzarri – nonché direttore scientifico del progetto – ha pubblicato un lungo reportage sul numero di settembre della rivista Archeo, che parte dall’affascinante titolo “C’è un guerriero nella grotta”.

Un titolo che si raffigura qualche pagina più avanti, nella straordinaria fotografia dell’altorilievo di personaggio maschile – ritrovato nella cavità 254 e risalente al 480 a.C. circa – che pare riferibile al mito di Capaneo.

Bilancio positivo. Si continuerà a scavare

Bilancio positivo. Si continuerà a scavare

Con il 2015 è finalmente partito un percorso di indagine di una delle aree archeologiche più significative e più integrate al tessuto urbano della città: la necropoli di Crocifisso del Tufo. Un percorso lungo e affascinante alla scoperta e/o riscoperta delle nostre radici che ha visto impegnati il Comune di Orvieto / Assessorato alla Cultura e il Parco Archeologico Ambientale dell’Orvietano, sotto la direzione del Direttore Dr. Claudio Bizzarri, protagonisti di un programma d’interventi complessi ed articolati: piccole mostre, seminari, appuntamenti e soprattutto scavi.

L’Assessore alla Cultura, Vincenzina Anna Maria Martino ed il direttore del PAAO, Claudio Bizzarri fanno un primo bilancio del lavoro svolto. “Scegliere di intervenire – afferma l’Assessore Martino – nel settore della ricerca, con un ruolo da protagonista, in un momento difficile dove generalmente la cultura stenta a mantenere la centralità che le spetta di diritto in una città come Orvieto e nell’Italia in generale, è stata un’azione di coraggio che ha spinto l’Amministrazione Comunale a cercare strade nuove e fino ad ora poco praticate pur di attivare quei finanziamenti e quelle sinergie che ci permettessero di raggiungere l’obiettivo. Fare ricerca è, prima di tutto, un’attività dinamica che ha la finalità di costruire un patrimonio crescente di conoscenze che possono contribuire allo sviluppo anche economico, oltre che culturale della città.

Il Comune di Orvieto, per la prima volta si è fatto promotore e coordinatore di un gruppo di soggetti pubblici e privati. In particolare voglio ricordare il trust di scopo Sostratos, che aveva stimolato il Comune ad intraprendere questa strada, al fine di poter avere una concessione di scavo; non è stato tutto facile soprattutto per la differenza strutturale dei soggetti coinvolti ma la consapevolezza di aver intrapreso la strada giusta ci ha sorretto e alla fine abbiamo avuto i risultati sperati”.

“Chiusa la prima campagna di scavo alla necropoli di Crocifisso del Tufo. Il 2015 segna una nuova era nella ricerca archeologica ad Orvieto – sottolinea il Direttore del PAAO, Bizzarri – si trattava di una scommessa, o meglio di molteplici scommesse che, in tempo di bilanci conclusivi, sono state vinte con largo margine. Scientificamente valeva la pena di focalizzare indagini archeologiche in un’area di necropoli, già scavata nel passato, addirittura a partire dal XIX secolo? La risposta è SI, perché è stato possibile acquisire importanti informazioni legate allo sviluppo degli edifici funebri, la loro concatenazione cronologica e spaziale, studiare anche quegli interventi così distruttivi che le prime ricerche arrecarono al complesso della necropoli anulare della città, indagare sorprendenti contesti funerari intatti.

Valeva la pena organizzare una complessa macchina nella quale gli attori erano molti e di differente natura cosa che poteva costituire un ostacolo? Sì, quasi una sorta di sfida per vedere se, sotto un’attenta regia, era possibile far dialogare Comune, Soprintendenza, investitori privati, università italiane ed estere, volontari. E la risposta è stata SI, grazie al ruolo che tutta una serie di persone hanno voluto, non dovuto, svolgere, nel rispetto delle proprie competenze, ma con una curiosità verso il Progetto Crocifisso del Tufo che ne ha amplificato l’operato in senso fortemente positivo”.

“Valeva la pena – aggiunge – spendere risorse umane (studenti e non) per offrire un servizio di informazione sulle attività del cantiere archeologico in atto, guidare i visitatori attraverso tutte le tappe del processo della ricerca archeologica? La risposta è ancora SI. Il successo di pubblico è stato incredibile: le presenze alla necropoli hanno registrato picchi che non si erano mai visti. La soddisfazione da parte dei turisti, italiani e stranieri (si parlava anche inglese sul cantiere!) era tangibile; oltre ai pannelli didattici in due lingue ora apposti nel percorso di visita è stato possibile confrontarsi con chi operava in prima persona sullo scavo, nell’inventariazione dei reperti e addirittura nel restauro in diretta.

Sembra ovvio pensare ad un cantiere che opera su un bene che è della collettività come ad un cantiere ‘aperto’, ma così non è nella stragrande maggioranza dei casi: il trust di scopo Sostratos, che si è fatto carico dell’impegno economico, ne ha invece fatto un suo punto di forza, una caratteristica imprescindibile rispettosa delle radici degli Etruschi di oggi. Le centinaia di t-shirts con la scritta ‘io sono etrusco’ che sono state distribuite sullo scavo ne sono uno dei simboli parlanti più evidenti. Siamo tutti Etruschi se ci avviciniamo con rispetto e curiosità intellettuale vera a quanto il tempo ci ha conservato dopo 2500 anni, poco importa se io sono Olandese, Australiano o Cinese (od Orvietano!)”.

L’Assessore ed il Direttore degli scavi ritengono, quindi, che il bilancio del primo anno di scavi alla necropoli di Crocifisso del Tufo è altamente positivo. Il lavoro avviato non terminerà con i tre anni previsti dalla prima concessione ministeriale, ma sarà in grado di replicarsi, garantendo alla città il piacere di vivere in modo consapevole uno dei suoi complessi monumentali più significativo, come l’egida del Parco Archeologico ed Ambientale dell’Orvietano assicura.

Fonte: Comune di Orvieto

Il condottiero e l’asino…

Il condottiero e l’asino…

Ovvero, su due tombe ellenistiche nei pressi di Orvieto

Nel corso del IV sec. a.C. l’aristocrazia volsiniese concentrò i propri interessi economici nel contado, dando origine a vasti latifondi, all’interno dei quali trovavano posto piccoli insediamenti residenziali e strutture produttive. Talvolta gli esponenti della classe dirigente andarono ad abitare in centri preesistenti, o che comunque erano già stati abitati. Questa opera di “rivitalizzazione” potrebbe essere letta anche in chiave politica, oltre che economica; è noto infatti che nel corso del IV secolo, è noto infatti che nella seconda metà del IV sec. a.C. si acuirono le tensioni con Roma, e poteva essere importante avere centri di controllo del territorio. Nel 309 a.C. il console Publio Decio Mure condusse una spedizione che portò all’occupazione dei “castella Volsinienses”. Successivi scontri portarono alla fine dell’indipendenza politica della città (280 a.C.) mentre nel 264 a.C., dopo una rivolta, il centro fu raso al suolo da Marco Fulvio Flacco. La popolazione fedele a Roma venne deportata sulle rive del lago di Bolsena, dove Velzna venne rifondata.

Newsletter-Marzo4 Il piccolo altopiano noto oggi come Castellonchio si trova pochi chilometri a Sud-Est della città di Orvieto e domina la confluenza del Paglia con il fiume Tevere. Inoltre la località si colloca lungo un percorso che già nel corso del X-IX sec. a.C. collegava l’area del lago di Bolsena con la valle del Tevere. Abbiamo dunque a che fare con un centro piccolo ma strategico.  La distribuzione dei reperti sul terreno lascia intuire l’alternanza di abitazioni e di ampi spazi liberi, probabilmente destinati all’agricoltura.

Nel 1988 in seguito ad un occasionale sbancamento, proprio a Castellonchio, la Soprintendenza Archeologica dell’Umbria esplorò due notevoli tombe, databili tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. La prima era costituita da una profonda fossa, di forma trapezoidale, che ospitava il corpo inumato di un maschio adulto. Questi era stato deposto entro una cassa lignea ed il suo corredo includeva un anello d’oro, molte armi da offesa in ferro, parti di un elmo e numerosi vasi in bronzo. Non c’erano oggetti in ceramica. Tutti gli oggetti, tranne il prezioso anello, erano stati intenzionalmente resi inservibili prima della deposizione all’interno della fossa. Sui vasi bronzei, secondo una pratica ben nota nel territorio volsiniese, era stata incisa l’iscrizione “suthina”, “della tomba”.

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In seguito gli oggetti vennero ritualmente danneggiati con strumenti di forma rotonda e quadrangolare. Un monumentale cratere, in particolare, venne smontato, ed i singoli elementi costitutivi furono defunzionalizzati. Di particolare pregio sono le anse, ornate da protomi di satiro barbato. Protomi di Eracle e di satiro barbato or- nano anche una coppia di raffinate situle, purtroppo in precarie condizioni di conservazione. Tra gli altri vasi annoveriamo brocche, attingitoi, teglie ed un colino per filtrare il vino. Interessante è la presenza di dadi in osso e pedine da gioco in calcare, che qualificano il defunto come esponente di un gruppo sociale che praticava giochi “normati”. Dell’elmo vennero deposte nella tomba solo le paragnatidi ed il bottone apicale. Le armi da offe- sa includevano una coppia di lance, una spada entro il fodero ed un’ascia.

Non conosciamo purtroppo il nome di questo aristocratico volsiniese, che scelse di essere deposto nel sepolcro con un preziosissimo servizio da banchetto e con tutto il suo equipaggiamento militare.

Newsletter-Marzo4Nei pressi di questa tomba a fossa venne individuata una tomba a camera che, nonostante l’avvenuta profanazione, ha restituito una notevole quantità di materiale. Tra essi si segnalano, in particolare, alcuni monili d’oro. Essi furono rinvenuti al centro della camera, in corrispondenza dei resti scheletrici di un asino. Questo povero animale dovette precipitare all’interno dell’ipogeo in seguito al crollo del soffitto, molto tempo dopo la chiusura della tomba. I suoi resti mortali si sono mescolati però ai monili che facevano parte del corredo funerario etrusco.

La camera in realtà doveva ospitare i resti di un gruppo familiare vissuto tra la fine del IV e la prima metà del III sec. a.C. Del corredo facevano parte ceramiche, sia di produzione locale che di importazione volterrana, bronzi, tra i quali ricordiamo un incensiere ed i peducci di una cista, strumenti in ferro (asce, molle da fuoco, spiedi, coltelli…).

Tutti questi elementi concorrono nell’indicare il notevole livello sociale dei personaggi deposti all’interno di questa sepoltura.  Tutti questi reperti sono oggi esposti nel Museo Archeologico Nazionale di Orvieto.

Paolo Binaco
Archeologo MiRasnaNewsletter-Marzo6